
L'ora dei Volontari
Lunedì 4 agosto, lungo il torrente Rovigo, nel tratto che porta a Casetta di Tiara, due persone (i sottoscritti Pietro e Lorenzo) armate solo di buona volontà e qualche sacco hanno compiuto un gesto enorme: in cinque ore hanno raccolto 13 sacchi pieni di rifiuti. Plastica ovunque: una marea che si scioglie sotto il sole, si incaglia tra i rami e le rocce, e al primo soffio di vento vola via, spargendosi tra gli alberi e sul greto. Nessun plauso ufficiale. Solo il silenzio della montagna e la voce dell’acqua, sporca.
Tutto questo è il risultato dell’alluvione del marzo 2025, che ha riportato alla luce una vecchia discarica mai davvero bonificata, sepolta da decenni di abbandono e indifferenza.
Ma allora, perché si è atteso così tanto a dare il via libera ai volontari? Perché, davanti a un disastro visibile a occhio nudo, si sono dovute aspettare mesi per mobilitare chi era già pronto a dare una mano?
Nel frattempo, i rifiuti sono rimasti lì, mescolati al fango e trascinati dalla corrente. Sacchetti, ferraglia, frammenti di vita gettati via. Oggetti che raccontano un tempo in cui si preferiva “nascondere” i problemi, piuttosto che affrontarli.
Ora riemergono come cadaveri portati in braccio dalla corrente, per dirla con le parole di Fabrizio De André, in un tragico rovesciamento del suo desiderio poetico:
«Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati,
non più i rifiuti degli anni passati, riportati in superficie dalla piena.»
Eppure, ORA non servono grandi nomi né mezzi straordinari. Bastano cittadini qualunque che scelgono di “perdere tempo” per restituire dignità a un pezzo di terra, di fiume, di mondo.
Ma in un Paese che si affanna a gestire le emergenze più che prevenirle, anche chi vuole aiutare deve spesso aspettare. Aspettare che le istituzioni valutino, regolino, autorizzino. Anche quando davanti c’è solo un sacco di plastica da sollevare.
Il gesto di oggi è un richiamo. Un’eco che risuona lungo le rive del Rovigo e ci chiede di guardare, di non voltare più lo sguardo. Di immaginare — e costruire — un futuro in cui, lungo quel torrente, non scendano più i cadaveri dei nostri errori, ma davvero, finalmente, i lucci argentati.